Il principio comune a tutte le religioni

Tutte le religioni del mondo, nonostante le differenze dottrinali, condividono un principio unico e comune: l’immortalità degli animi ed il ritorno ad una dimensione divina da cui vi è origine.
La speranza del credente è da sempre in netta opposizione allo scetticismo dei materialisti che vedono la morte come una fine.
Come l’antropologia sostiene, i primi homo sapiens già praticavano sepolture rituali di tipo religioso: con cura corredavanchurch-cathedral-catholic-christianityo le tombe con alimenti, armi e manufatti di vario genere; gli stessi Neanderthal includevano cibo, utensili in pietra, conchiglie e decorazioni.
Poiché non esistono testimonianze scritte circa lo scopo di simili usanze funerarie è stato presunto che il corredo funerario fosse motivato dalla credenza che la morte non fosse la fine e che qualcosa della persona sopravvivesse alla morte.
Nel corso della storia, ogni civilizzazione, ha da sempre cercato di dare una propria risposta alla domanda esistenziale “dove vado?” , basandosi su vie guidate dal buon senso comune, dall’osservazione della natura e dei suoi fenomeni o su argomentazioni di stampo teologico, cosmogonico o filosofico.
Le concezioni dell’aldilà variano da una religione all’altra: alcuni sostengono che si ascenda in un paradiso o si discenda in un inferno, altri che possa rinascere in un nuovo corpo oppure confluire nell’eterna unità divina.
Secondo le religioni monoteiste, Cristianesimo, Islam ed Ebraismo, la resurrezione del corpo fisico avrà luogo nel giorno del Giudizio Universale:
• Il Pentateuco fa menzione di una resurrezione collettiva dopo il Giudizio: secondo il Cristianesimo i buoni vanno in paradiso, dove godono di uno stato di eterna beatitudine, mentre i malvagi vanno all’inferno, dove sono sottoposti a supplizi indicibili.
• Per l’Ebraismo, l’anima del defunto raggiunge tutte le altre anime che riposano nel regno delle tenebre; da qui la sorte ultraterrena degli individui si differenzia in base alla condotta che essi hanno tenuto in vita: le anime dei giusti vengono condotte nei giardini dell’Eden, mentre quelle dei malvagi vanno all’inferno. Vi sono dei peccati la cui gravità condanna l’anima del colpevole alla dannazione eterna, almeno fino all’epoca del Giudizio finale.
• L’Islam afferma che quando una persona muore, la sua anima viene interrogata da due angeli, che le chiedono di recitare la professione di fede ma se non è in grado di farlo, viene dannata; coloro che non credono in un unico Dio sono destinati a bruciare all’inferno. Nel giorno del Giudizio, gli esseri umani saranno giudicati da Dio e solo i meritevoli avranno la grazia di contemplarne il volto.

Altre religioni, invece, ritengono che l’anima debba passare attraverso una lunga catena di reincarnazioni prima di raggiungere la cessazione del ciclo delle rinascite: questa credenza caratterizza le religioni di ceppo induista. Molti insegnamenti affermano che l’unica ragione della nascita nel mondo materiale sia la preparazione dell’anima all’accesso ai mondi immateriali. Il modo in cui l’anima risponde alle sfide presentate dalla vita sulla Terra determina come sarà trattata dopo la morte del corpo.
Teoria fondamentale è che le azioni commesse durante l’esistenza terrena influiscano in maniera definitiva sul destino dell’anima dopo la morte fisica:
• Gli induisti credono che alla morte ogni creatura si reincarni in un altro corpo, vegetale, animale, o umano. Lo scorrere delle esistenze è visto come un dramma dal quale si desidera liberarsi. La liberazione consiste nella scoperta dell’illusorietà della propria identità individuale per ricongiungersi con il “brahman”, che è l’Uno indivisibile.
• Per i buddhisti, l’individuo va errando peri 49 giorni dopo la morte tra il mondo dei morti e quello dei vivi; dopodiché il meccanismo del karma decide in quale corpo si reincarnerà.

In altri sistemi religiosi, la morte è vista come il passaggio dell’individuo allo stato di antenato: gli antenati si inseriscono nella vita dei propri discendenti comunicando direttamente con loro, proteggendoli, approvando o disapprovando le loro azioni, e intervenendo quando la famiglia li invoca con riti propiziatori. Gli antenati sono i guardiani delle tradizioni della comunità, esercitando la loro autorità sui discendenti.
La comunità li onora medianti numerosi rituali destinati a mantenere in vita la relazione con il mondo spirituale:
• Per le religioni tradizionali cinesi non vi è una separazione netta tra il mondo dei vivi e quello dei morti: i morti non abbandonano il mondo dei vivi, ma diventano antenati e continuano a partecipare della vita quotidiana della propria famiglia d’origine. Ogni casa possiede una nicchia nella quale vengono conservate le tavolette con scritti i nomi e le principali azioni compiute dagli antenati. Il dovere principale dei vivi è di assicurare la continuità della progenie per mantenere viva la memoria degli avi: quando muore un capofamiglia, la tavoletta dell’avo più antico viene bruciata per essere sostituita con quella del nuovo antenato. Ma l’energia del vecchio progenitore non viene dispersa: quando nascerà un nuovo bambino in casa, porterà il suo nome.
• Secondo le religioni tradizionali africane, i morti, continuano a intervenire nella vita dei discendenti sotto forma di “spiriti protettori”. Non tutti, però, vengono considerati antenati: sono esclusi i bambini, i “matti”, gli “anormali”, e coloro che sono deceduti di morte violenta, circostanza collegata alla stregoneria. Gli anziani sono in diretto contatto con gli spiriti degli avi che, tramite essi, comunicano i propri consigli e divieti alla comunità. Se il volere degli antenati viene trasgredito, o se ci si dimentica di onorarli, essi si adirano e manifestano la propria collera provocando disgrazie. La nascita di un bambino può essere l’occasione per onorare un antenato: i genitori possono infatti decidere spontaneamente di assegnare al nuovo nato il nome di un avo ma alle volte è l’antenato stesso che può manifestare ai genitori questo desiderio; l’attribuzione del nome è molto importante in Africa, perché è credenza che, assieme al nome, il bambino ne acquisisca anche i tratti della personalità.
Vi sono persone che non credono nell’esistenza di un Dio, negando che vi sia un’anima che sopravvive al corpo e ritengono che, dopo la morte, non vi sia nulla, pensando che sia impossibile decidere se le varie religioni dicono la verità (atei e agnostici).
Comune ad ogni religione è l’alleanza tra l’uomo e Dio e il modo da cui le cose procedono: nessuna religione si fonda sulla fine del tempo, della vita e del pensiero e ciascuna trova vie differenti per elaborarla.
L’aldilà o l’oltretomba, è un termine generico utilizzato per indicare un luogo o una condizione di continuazione dell’esistenza solo in forma immateriale, dopo la morte fisica. In questo modo viene assegnato un luogo nel cosmo, ai morti, distinto dal regno dei viventi. Nonostante le religioni siano tante, una medesima metafora è stata utilizzata per indicare la vita ultraterrena: l’immagine dell’aldilà come campo o giardino.
Quest’immagine dell’aldilà come terra fertile o coltivata risale alle più antiche lontane credenze religiose:
• Secondo gli antichi Egizi, con la barca solare si arrivava al regno dei morti dove Osiride, con 42 giudici, pesava il cuore dei defunti: se leggero, per mancanza di colpe, si è ammessi, altrimenti si muore per sempre. Tuttavia l’aldilà è un ambiente oscuro, dal quale però si ritorna dopo un certo periodo ed è per questo bisogna conservare il corpo intatto con la mummificazione.
• Per i Vichinghi, il paradiso si chiama Valhalla ed è un palazzo situato in cielo: vi accede soltanto chi muore da eroe. Le anime vengono condotte dalle “valchirie” in questa splendida residenza di Odino, in attesa della battaglia finale contro il male.
• Per i Pellerossa, nativi americani, l’aldilà è il proseguimento della vita senza più affanni, fatto di praterie, bisonti da cacciare e tante fonti d’acqua.
• Per gli antichi Greci e Romani, dopo la morte tutte le anime buone vanno nei Campi Elisi, dove non c’è neve, pioggia o freddo e spira una brezza di zefiro costante.
• Per i Cristiani, il paradiso viene descritto come un giardino fiorito presieduto da Maria con gli angeli: un luogo del cielo dove avviene la comunione con Dio.
• Per gli Ebrei il paradiso viene descritto come un recinto di rose e mirti, in mezzo al quale si erge l’Albero della vita: un paradiso di pura spiritualità, nel quale il massimo piacere è passeggiare in compagnia di Dio.
• Per i Musulmani, si entra in un giardino di piaceri, il Gan Eden: il clima è buono e l’acqua abbonda, così come frutta, carne e miele.
• Per i Buddisti, il luogo dove si ritrovano i devoti del Buddha, è la Terra Pura: cosparsa di laghi e fiori di loto e gli eletti hanno abiti splendidi. Non ci sono donne umane, ma solo ninfe, le apsaras.
• Per gli Induisti esistono diversi paradisi, tra i quali quelli di Visnu e di Shiva. Sono luoghi da dove, dopo un breve soggiorno, si torna sulla terra, in una nuova vita; nel paradiso di Visnu, ci sono solo corpi perfetti, in un ambiente sfavillante di mille colori, tra fiumi di vino e laghi di burro: si mangia di buon appetito e si fa l’amore senza stancarsi.
• Per i Taoisti, gli immortali vivono sulle montagne e non mangiano ma aspirano vento e bevono la rugiada: per muoversi montano su nubi di vapore o su draghi volanti.

 

Valentina G.

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